G. MAZZARINO
LE
ALIENE PROSPETTIVE E GLI INSTABILI EQUILIBRI DI Datemi
un punto d’appoggio – si narra abbia esclamato un intellettuale
delle parti nostre, il greco di Sicilia Archimede – e vi solleverò
il mondo. Giovanni
Lacatena, che ventidue secoli dopo vive ed opera in terra di Magna
Grecia, a Taranto, ha trovato nella fantasia surreale il punto
d’appoggio per le sue matite che, in precario ed instabile ma
solidissimo equilibrio, sollevano se non il mondo spicchi e porzioni
non indifferenti di mondo, nei suoi quadri coloratissimi, dove i verdi
i bianchi i rossi e gli azzurri squillano sullo sfondo di fantastici
cieli notturni d’un insistito blu di prussia, rischiarato da nuvole
multicolori , mezzelune, acrobati e suonatori che camminano su un filo
appeso a un palloncino. Amatore
di pittura da sempre, segnato da un imprinting adolescenziale nel
segno di de Chirico e Dalì, ma pittore full time sostanzialmente da
una quindicina d’anni ( <prima – confessa – era una attività
estiva, anche se condotta con passione> ), Lacatena gia docente di
Tecnologia Meccanica e Disegno Tecnico ha portato sulle sue tele la
precisione prospettica ripudiando invece la civiltà meccanica. Dopo
una prima fase all’insegna di un pessimismo cosmico –
simboleggiato dall’irruzione nei quadri di un vuoto oscuro, una
lacerazione zigzagante nera, una frantumazione di coscienza – La
catena passa a dipingere con una felice vena coloristica i giochi di
strada dell’infanzia, sempre in paesaggi a volte decisamente
ispirati a volte soltanto influenzati nelle prospettive particolari
della Metafisica. Trenini di latta e bambine con il cerchio ( che
fuggono di quadro in quadro fino ad entrare in un notissimo dipinto di
de Chirico diventando l’ombra di se stessa ) si alternano così, in
paesaggi fantastici rinchiusi in un tiretto o che fuoriescono da altre
tele, con trottole, giostrine, il giro d’Italia coi tappi di birra
giocato su un tracciato disegnato con i gessetti per strada, e ancora
monopattini, trombettine da fiera,biglie,aquiloni. Non
mancano in queste attraenti tele le testimonianze di una scuola che
fu: i quaderni dalla copertina nera con gli esercizi di aritmetica e i
temi, gli astucci delle matite di legno, i righelli e le squadre,
sempre di legno, le sgrammaticate scritte sui muri o i motti < la squola>; e poi strumenti musicali e figure
di bambini e piani d’appoggio che diventano scacchiere. Ad
un certo punto la fuga prospettica dei quadri nel quadro, dei
personaggi che entrano – in una particolarissima visione del celebre
motto futurista – nel quadro, non basta più al nostro, che tenta
dapprima un convincente ma episodico polimaterismo ( < La luna
prigioniera>, del 1996 ) per approdare alla scelta di nuove forme,
liberando la tela dalla tirannia degli angoli retti, del quadrato o
del rettangolo. Tornano
in queste eccentriche forme matite e righelli che si incrociano con
scale poggiate sulla distesa del mare e sostengono città o trampolini
sui quali in languido abbandono una bimba contempla un non-leopardiano
infinito (< Sguardo incantato > ). Negli
inserti di paesaggio si ripete più volte, stilizzata, una chiesetta
di Laterza: occhi allenati possono riconoscere anche, in una
prospettiva aliena, il rosone e la facciata di San Domenico ed altri
monumenti della nostra terra; tutti per un paradosso dimensionale
trasferiti in una realtà parallela dove le leggi galileiane ed
einsteiniane sono state trasformate in leggi della Patafisica ed altre
para-fisiche, la suprema delle quali, anche nella dimensione onirica
in cui si muove Giovanni Lacatena, è sempre quella che pronunciò
McLeish a proposito della poesia: come la poesia, un’opera d’arte
< non dovrebbe significare – ma essere >. E le vecchie e nuove forme delle tele di Lacatena ad < essere > ci riescono benissimo.
Taranto, 28 / 04 / 2005 Giuseppe Mazzarino |