G. SEGATO
LA FANTASIA IN GIOCO In ciascuno di noi resta, indelebile, l'imprinting dell'infanzia e dell'adolescenza. Non si tratta di "ricordi " precisi, di eventi ma, piuttosto, di modi di essre, di percezione di spazi, di tempi, di rapporti. Una percezione che torneremo più volte a cercare ma che non troveremo più e che vivremo sempre come nostalgia: gli spazi saranno sempre troppo angusti, i tempi troppo brevi, i rapporti troppo labili. E non perché l'epoca era diversa: eravamo differenti noi, fisicamente più piccoli, ma con la fantasia fervida di chi cresce, una sensorialità molto più acuta e più espansa insieme, davvero febbrile; e non ci confortavamo con l'appartamento, l'auto con la strada, i " campi " , il quartiere, con lunghi percorsi misurati un'infinità di volte a piedi, e piuttosto con le stagioni che con le ore e i minuti. E i giochi, appunto avevano scadenze, corsi e ricorsi stagionali; come per incanto ci si trovava tutti con la zeppa, o con le cannucce di carta ( a volte armate di spillo ), con la fionda, le barchette, i tappi corona con le teste dei ciclisti o dei calciatori presi dalle leggendarie " figurine ", oggetto di interminabili raccolte, di scambi, di estenuanti trattative, di " favolosi " baratti; e poi le canne da pesca, i barattoli da far esplodere con carburi e potassa, gli slittini e gli sci fatti in casa. Magie di un tempo in cui le case erano " vasi comunicanti " e le notizie non viaggiavano, ma erano vissute insieme, simultaneamente. E' della fervente, profonda emozione in qualche modo "panica" di quell'età che sentiamo nostalgia, perché le misure e i rapporti di allora erano magici e indubbiamente più pertinenti a ciascuno di noi, davvero nostri, personali e più umani, fatti di esperienze e di conoscenze materiali piuttosto che virtuali, autenticamente vissute e non indotte, confezionate o omologate. C'era tra noi l'esperto della fionda, il mago dell'aquilone, il genio del carrettino o dell'arco, lo specialista del tiro delle biglie di terracotta prima e poi di vetro con l'anima colorata, il campione di calcio e quello di ciclismo, il tuffatore alla Tarzan, il capobanda di spedizioni diurne e notturne a "raccogliere" frutta. Per strada si imparava davvero molto e con minore sforzo che a scuola. Manici di scopa erano destrieri alati prima di diventare zeppe o mazze, assolutamente vietate alle femmine. Per compiacenza o per coltivare qualche simpatia i maschi si adattavano ai giochi femminili della "casetta", del salto alla corda individuale o a due, o a tre, dello "scalone" disegnato sull'asfalto proprio in mezzo al rettifilo che portava all'aeroporto; ma solo raramente qualche femmina ( subito tacciata di essere un maschiaccio) trovava ammissione ai giochi dei maschi. Qualcuna si conquistava il posto con sfide a lotta o a pugni. Tutti insieme, le sere d'estate, si facevano i giochi " a pegno" ( dire, dare, baciare, lettera o testamento). Quelle sensazioni, quel dilatarsi del tempo e dello spazio e , pertanto, quell'espandersi delle sproporzioni, delle disarmonie tra percezione del piccolo uomo e realtà sono il vero oggetto della permanente nostalgia ( e della pittura che la rivive e la racconta ) di Giovanni Lacatena. La nostalgia nulla ha a che fare con la cronaca, con i fatti accaduti, ma è la memoria di sentimenti, di percezioni, di emozioni. Lacatena ha mantenuto vivida in sé l'emozione primaria di un modo diverso di vivere, di apprendere, di agire e sa bene che si tratta di una dimensione parallela, perché l'adulto ormai non possiede più la capacità di gioco, di meraviglia e di incantamento del bambino o dell'adolescente: è possibile solo accostarsi per approssimazione a quelle impressioni, e solo slittando nell'altra dimensione che appartiene tutta al sogno, al surreale, al mondo onirico o dell'elaborazione fantastica, al gioco come impegno ed esercizio libero e del tutto disinteressato, generoso e disinibito, delle facoltà dell'immaginazione, cioè a meno che uno non sia un bambino,o Poeta, o artista affabulatore. E Giovanni Lacatena nella sua semplicità, immediatezza e schiettezza ha un po' di tutti e tre e lo fa da " fonte" e da interprete tra le storie dei bimbi e le sue nostalgie degli adulti con i suoi quadretti, le sue storie dipinte quasi raccontandole, in modo da coniugare e interessare voce e immagine, colore e atmosfera, ambiente e sogno. Le sue opere potrebbero tutte avere nel titolo " C'era una volta: …" perché hanno un che di illustrazione favolistica o di racconto in atto. Gli elementi del racconto sono quelli semplici dell'esperienza rivisitata come favola e continua provocazione gioiosa e gioiosa, fantastica, che trova legami e riferimenti colti soprattutto nelle esperienze dell'arte surrealista, in Magritte, Dalì, ma soprattutto nella memoria dei racconti enfatici e deflagranti come fuochi d'artificio della preadolescenza e dell'adolescenza : le case castello, le corse, i copertoni, i palloncini, palle, matite colorate, paracadute, barchette di carta, quaderni, vetri rotti, quadri nei quadri come fantasia che continua e va oltre la realtà, entra nel sogno di una natura felice e incontaminata contemplata ed evocata da una sensibilità che ha scelto di restare ingenua, naive, per esprimere più compiutamente la grande nostalgia della nostra epoca: nostalgia di spazi, di tempo, di aria, di desideri, di sapori, di odori diversi, più intensi, più pregnanti e accattivanti: una nostalgia che non riguarda la storia personale e non, cioè una logica sequenza di eventi, ma che ha a che fare coi sentimenti o , meglio, con il colore dei sentimenti. |
Giorgio Segato |